Una quarantina di anni fa, in occasione della
"Mostra sul brigantaggio nella regione del Vulture", credevamo
di aver chiarito per sempre la questione del nome di Carmine
Crocco, che nella maggior parte della letteratura sul
brigantaggio meridionale postunitario dei decenni precedenti
era chiamato Carmine
Donatelli detto Crocco, forse perché quest'ultima parola evocava
il gancio a cui si appendevano gli animali appena macellati
nelle botteghe della carne ed associava così il capobrigante
rionerese ad un'immagine, per certi aspetti, violenta.
Purtroppo, ancora oggi si legge quell'errore in alcuni testi, il
che ci costringe a ritornare sull'argomento.
La ricerca condotta nel 1985 da padre Carlo
Palestina, con l'aiuto di Mosé Faruolo dell'ufficio anagrafe del
comune di Rionero, consentì di trovare e pubblicare, con
l'autorizzazione del P.M. di Melfi, le pagine del Registro degli
Atti di nascita dell'Archivio dello Stato Civile dell'anno 1830.
Vi si legge, tra l'altro, che "Francesco Crocco di Rionero,
figlio del fu Donato, di anni ventiquattro, di professione
contadino, domiciliato a San Nicola" presentava al sindaco Paolo
Leone il figlio Carmine, nato il 5 giugno da Maria Gerarda
Santomauro, sua moglie, e battezzato nella chiesa parrocchiale
di San Nicola, nel cui territorio era ubicata la propria
abitazione.
Perché, invece, fosse chiamato anche Donatello
o Donatelli, tanto nei mandati di cattura quanto negli atti
processuali, ce lo svelò, in occasione di quella stessa ricerca
per la mostra sul brigantaggio, il ritrovamento a Napoli della
copia di un manoscritto inedito di Gennaro Fortunato, fratello
del padre di Giustino. È una memoria difensiva (com'è noto i
fratelli Gennaro e Pasquale Fortunato furono incarcerati per i
fatti del brigantaggio), intitolata "Cenno sull'origine della
banda Crocco e del biasimevole sistema governativo tenuto
nell'opprimere gli uomini onesti con lente calunniose e false
istruzioni processuali" che inizia proprio rivelandoci che
"Carmine Crocco di Francesco di Rionero” era “soprannominato
Donatello, pel nome dell'avo paterno di Donato, che nomavasi con
siffatto diminutivo...”. Com'è noto, nel 1870 Crocco fu
condannato a morte e quindi all'ergastolo che scontò nel carcere
di Portoferraio, dove nel 1890 Telemaco Signorini, uno dei
principali esponenti della corrente dei Macchiaioli, si vuole lo
abbia dipinto tra i detenuti (il primo della fila di destra) nel
quadro intitolato "Bagno penale a Portoferraio".
Crocco morì il 18 giugno 1905, senza lasciare
"peculio" ma solo "i seguenti oggetti laceri: calze di cotone
paia 6, maglie di cotone 1, maglie di lana 1, berretto da notte
2 ", secondo la comunicazione del direttore del carcere al
sindaco di Rionero, che, con lettera di risposta del 25 dello
stesso mese, manifestò lo stupore dei parenti per il fatto che
Crocco “dopo circa 45 anni di prigionia e di lavoro non si abbia
raggranellata una somma". Abbiamo trovato le due lettere a
Napoli, trascritte forse da originali conservati nel non più
esistente archivio comunale, come dimostra la calligrafia che le
accomuna e che, secondo quanto riteneva il compianto Michele
Saraceno all'epoca della più volte citata mostra sul
brigantaggio, pare che fosse del giovane Raffaele Ciasca, che
negli anni 10 del Novecento, spinto da Giustino Fortunato,
lavorava ad una possibile, ma mai portata a termine, tesi di
laurea.