Nell’anno 1500 era re di Napoli Federico d’Aragona, discendente di
Alfonso il Magnanimo che nel 1442 aveva conquistato il regno con la
forza sottraendolo agli ultimi Angioini. Sul trono di Francia sedeva
Luigi XII, che considerandosi l’erede di casa D’Angiò e quindi del
regno di Napoli, era intenzionato a riprendere la guerra per
occuparlo, cosa che era riuscita solo per breve tempo al suo
predecessore Carlo VIII tra il 1495 e il 1496, prima di essere
ricacciato in Francia dopo varie battaglie combattute anche nelle
campagne del Vulture fino all’assedio di Atella nel luglio del 1496,
quando i francesi al comando del generale Montpensier si arresero
definitivamente alle truppe napoletane, veneziane e spagnole guidate
dal Gran Capitano Consalvo di Cordova. Per raggiungere il suo
obiettivo, Luigi XII cercò l’alleanza del re di Spagna Ferdinando il
Cattolico, col quale l’11 novembre del 1500 stipulò il trattato
segreto di Granada che stabiliva l’occupazione del regno di Napoli
per dividerlo: alla Francia sarebbero andate la Campania, l’Abruzzo
e il Molise, mentre la Spagna, che già possedeva la Sicilia, avrebbe
avuto la Calabria e la Puglia. Nell’estate del 1501 l’impresa
ottenne un successo quasi immediato, ma presto tra gli occupanti
nacquero dissidi sulle modalità di spartizione delle regioni
conquistate: non era chiaro a chi dovessero appartenere la
Basilicata e la Capitanata. Soprattutto quest’ultima era
particolarmente ambita perché comprendeva le pianure del Tavoliere
dove i pastori di ogni parte del regno “menavano” il bestiame nei
mesi invernali, pagando svariate tasse che insieme formavano una
delle maggiori entrate delle casse dello stato.
“Disputandosi dunque in questo modo, con l’armi apparecchiate
dall’una e l’altra parte”, scrisse Paolo Giovio1
in una biografia del Gran Capitano pubblicata a Firenze cinquant’anni
dopo, francesi e spagnoli decisero di incontrarsi per “dichiarare
l’accordo e l’equità del Regno diviso”. Alla fine di marzo 1502 i
francesi guidati dal duca di Nemours erano a Melfi. Le truppe
spagnole guidate da Consalvo di Cordova erano accampate ad Atella.
“Insieme decisero di abboccarsi in un certo romitaggio di sant’Antonio,
che stava a mezza strada tra l’una e l’altra città; ed ivi si
trovarono il primo giorno di aprile”, precisò il cronista spagnolo
dei fatti Geronimo Zurita2.
Quel luogo “visitato molto per divozione” non è indicato nelle Carte Aragonesi della biblioteca nazionale di Francia3
che si fanno risalire all’ultimo decennio del XV secolo, dove
compare, invece, tra Barile e Atella, un “casale albanese”
raffigurato con cinque case, con molta probabilità Rionero che a
quell’epoca cominciava a ripopolarsi di quei profughi. La piccola
chiesetta, intitolata al Santo protettore dal fuoco di Sant’Antonio,
esisteva già da alcuni secoli. Nel 1425 era stata concessa dal
vescovo di Rapolla ad alcuni frati del Terzo Ordine Regolare di San
Francesco, de poenitentia nuncupati, insieme al conventino
annesso di poche celle con refettorio e dormitorio4.
Papa Nicolò V nel 1455 confermò quella disposizione anche per gli
anni a venire, ma non sappiamo se a celebrare la messa del 1 aprile
1502 fu un francescano o un prete diocesano, nominato rettore del
romitaggio dal vescovo di Rapolla.
C’erano quel giorno, in compagnia del Gran Capitano, Tommaso
Malferit e Giovanni Claner con gli uomini del seguito venuti da
Atella. Col duca di Nemours erano arrivati da Melfi Rodolfo de
Launay, Balì di Myans, gran camerlengo del regno, con altri francesi
che li accompagnavano, “e tutti si incontrarono con dimostrazioni di
affetto e di fratellanza, quali occorrevano affinché fosse di
pubblica ragione la buona amicizia che era tra i loro principi”. “Si
convenne di tenere fede alla concordia ed ai patti già stretti fra’
due sovrani, stabilendosi che nel giorno seguente alcuni di parte
spagnola andassero a Melfi, perché alla presenza del duca e dei suoi
consiglieri dicessero ciò che si voleva in favore di re Ferdinando,
e un altro giorno alcuni di parte francese si recassero in Atella”.
Ma “sembrando al gran Capitano non essere conveniente, per la nota
mala indole dei francesi, che a Melfi fossero né il Malferit, né il
Claner, inviò al campo il dottor di Jaen, messer Troiano de Bitontis,
messer Giovanni del Tufo: e costoro dichiararono apertamente quanto
bisognava, mostrando con antiche scritture che Capitanata era in
Puglia e per conseguenza di spettanza del re Cattolico”. Ad Atella
“da parte del re di Francia furono in messere Giulio de Scorziatis,
messere Camillo suo fratello, messer Michele Riccio e un segretario
francese: e così dagli uni come dagli altri si allegò tutto quello
che rispettivamente servisse a giustificare la propria causa e
convalidare il proprio diritto: e i francesi vennero nella
conclusione che a fin di rendere più salda la comune amicizia fosse
necessario spartire la provincia” e dividersi le entrate della
Dogana delle pecore del Tavoliere.
Sia a Melfi che ad Atella, però, le due parti non trovarono una
soluzione condivisa. Si rese necessario, perciò, un altro incontro
presso la chiesa di Sant’Antonio, ma anche questo si concluse senza
accordi. “Così, senza conchiuder nulla, e l’uno nell’altro si
partirono dal romitaggio di Sant’Antonio”.
La guerra tra francesi e spagnoli riprese ancora più cruenta. Nelle
campagne pugliesi furono combattute la Disfida di Barletta e la
Battaglia di Cerignola in cui il duca di Nemours perse la vita. A
dicembre 1503 la battaglia del Garigliano sancì la definitiva
vittoria degli spagnoli.
Quattrocento anni dopo, Giovanni Bovio e Giustino Fortunato
dettarono il testo della lapide che ancora oggi si può leggere sulla
facciata della chiesa:
in questa chiesa
un capitano francese e uno spagnolo
convenuti
nel 1 aprile 1502
in cospetto di un sacerdote italiano
celebrante il rito della redenzione
patteggiarono lo spartimento di un popolo
FERMI di tracciare con le lance
i limiti delle terre italiche
NON DEFINIBILI IN DUE LINGUE STRANIERE
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o italiani
l’unità patria
salverà i nEpoti e voi
dal rinnovamento di tanta vergogna
1 aprile 1902