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Rionero e dintorni   

storia e altro      

a cura di Franco Pietrafesa

 
 

 

 

 

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Miscellanea

 

 

briganti in posa

 


 

 

 

Nel 1904 il poeta e scrittore napoletano Salvatore Di Giacomo pubblicò, in due puntate, sull'Emporium. celebre rivista di arti e grafica stampata a Bergamo dall'Istituto Italiano di Arti Grafiche, il saggio "Per la storia del brigantaggio nel Napoletano" raccontando come era riuscito ad acquistare da un rivendugliolo di via Costantinopoli a Napoli una piletta di fotografie brigantesche:

"Sono una cinquantina. E mi sciorinano allo sguardo, sotto la più impressionante forma iconografica, la storia tutta quanta degli ultimi briganti della Basilicata. Ecco il famoso Giuseppe Schiavone, ex sergente borbonico, capobanda di centottanta briganti, ferito più di trenta volte, e compagno di Crocco e di Caruso; ecco la banda Masini, ecco la banda Coppolone, la banda Totaro, la banda Tranchella, la banda Ciardullo. Ecco Ninco Nanco ucciso a Lagopesole, ecco Chiavone, Tamburrini, il feroce Giovanni Volonnino, ecco Michele Volonnino detto il Guercio, che tenne la campagna per quattro anni e fu il braccio destro di Crocco, ecco Spinelli fucilato a Salerno, ecco le loro amanti, quale uccisa in uno scontro co’ bersaglieri del general Pallavicini, quale condannata ai lavori forzati, quale fucilata... Che orrore!" 

Costate quindici lire e cinquanta centesimi, erano appartenute a un commissario di polizia a riposo che, forse, le aveva collezionate seguendo una tendenza molto diffusa nei primi decenni della seconda metà dell'Ottocento. La diffusione della fotografia in larghi strati di popolazione, favorita dall'introduzione della "carta da visita", un tipo di fotografia stampata su carta all'albumina ottenuta utilizzando una fotocamera a quattro obiettivi, in modo da impressionare e consentire, quindi, di sviluppare e stampare contemporaneamente più immagini di dimensioni ridotte (5,4x8,9 cm) e, perciò, meno costose, coincise con l'esplosione del brigantaggio post unitario nel Mezzogiorno d'Italia.

 Il nuovo governo italiano, per contrastare il fenomeno, pensò di affidarsi anche alla fotografia ingaggiando numerosi fotografi che operavano nelle regioni meridionali. Tra questi si ricordano Raffaele Del Pozzo di Montecorvino Rovella, autore delle celebri immagini della banda Manzo, il casertano Emanuele Giuseppe Russi, al quale il generale Emilio Pallavicini mise a disposizione una carrozza ferroviaria per portare le attrezzature fotografiche nei luoghi dove erano avvenuti importanti scontri tra forze militari e briganti. Nelle intenzioni del generale Pallavicini la diffusione delle immagini più cruente doveva servire da deterrente contro le altre bande e le fotografie dei briganti incatenati dovevano testimoniare i successi delle forze dell'ordine. Non tutta l'opinione pubblica apprezzava questo modo di agire. Spesso i giornali più critici sottolineavano il fallimento dell'azione delle forze di polizia con vignette satiriche che prendevano di mira, tra l'altro, l'uso di diffondere tra i militari fotografie di persone "datesi alla campagna" come immagini segnaletiche.

Raffaele Del Pozzo, Emanuele Giuseppe Russi, Ferdinando Carparelli, Carlo Fasolato, Giuseppe Chiarelli sono solo alcuni dei tanti fotografi autori delle centinaia di fotografie conservate a Napoli al Museo di San Martino e alla Biblioteca Nazionale e al Museo del Risorgimento a Roma. Molti altri hanno preferito l'anonimato, come gli autori della maggior parte delle immagini dei briganti dei paesi del Vulture. Tranne che per le fotografie di Giuseppe Nicola Summa Ninco Nanco, scattate subito dopo la sua uccisione il 7 febbraio 1864, e per quella di Giuseppe Caruso, "brigante pentito" diventato guida dell'esercito nella caccia a Crocco, ripreso davanti ad un fondale appositamente allestito nella caserma di Potenza, le immagini che conosciamo provengono tutte dal carcere di Melfi.
 

 

 

     

In questa fotografia i componenti della banda Schiavone sono stati ripresi il giorno prima della loro fucilazione, avvenuta il 29 novembre 1864. Il fotografo cura molto la ambientazione, quasi come se si trovasse nel proprio studio, posizionando i cinque uomini davanti ad un arco e mettendo in evidenza la loro condizione di prigionieri con la catena che passa da un brigante all'altro. La fotografia meritò la prima pagina de "L'Emporio Pittoresco" di Milano, ovviamente tradotta in litografia, con accentuazione dei tratti somatici mirante al loro “abbrutimento”. Due componenti del gruppo, il capobanda Giuseppe Schiavone e Giuseppe Petrella furono ritratti anche singolarmente: il primo è seduto sullo stesso sasso sul quale Petrella appoggia il suo piede destro.

 

 

 

 

 

 

Lo stesso sfondo e la stessa pietra compaiono in altre pose fotografiche. Per esempio in queste due della banda di Agostino e Vito Sacchetiello e Francesco Gentile di Bisaccia. In una sono ritratti mentre mangiano, nell’altra mentre fingono di indicare il bersaglio che uno di loro si appresta a colpire.

 

Vito Di Gianni, detto Totaro, di San Fele, si consegnò con quel che restava della sua numerosa banda al generale Pallavicini nel febbraio del 1865 e fotografato nel carcere da solo e con i suoi compagni in tipiche "scene a soggetto", come il gioco della "morra" tra Totaro e Giuseppe Di Pace, un'immagine costruita artificiosamente presente anche in fotografie di briganti di altri paesi del napoletano, come in queste relative alla banda Coppolone e alla banda Bellettieri.

 

 

 

Nella fotografia della banda Totaro, il capo brigante e altri uomini del gruppo sono provvisti di armi per contrassegnare il "genere banditesco" della rappresentazione. Così è costruita anche la posa dei fratelli Giovanni e Michele Volonnino "il guercio", di Barile, ripresi da soli e con i due compagni Michele Barbaro e Vincenzo Anastasia mentre fingono un attacco con le armi puntate.

 

 

 

 

 

Di Barile era anche Teodoro Gioseffi, detto “caporal Teodoro”, qui fotografato nello stesso luogo dei fratelli Volonnino.

 

 

 

Mentre finge un attacco è fotografato anche Francesco Fasanella, detto “Tinna”, di San Fele, che si costituì con Cafo, Lamacchia e Giuseppe Caruso, diventando come quest’ultimo collaboratore di Giustizia.

 

 

 

 

 

 

 

 

Queste fotografie, diffuse per divulgare i successi della repressione, si discostano da quelle più crude riprese “sul campo”, come quelle già viste di Ninco Nanco.

La maggior parte delle altre immagini sono realizzate secondo i canoni del ritratto fotografico, pensando agli album fotografici dei collezionisti acquirenti. E’ il caso delle centinaia di “carte da visita” conservate nei ricordati musei di Napoli e Roma, tra le quali si trovano anche quelle di Giuseppe Caruso e di Filomena Pennacchio.

 

 

 

Filomena Pennacchio era la compagna di Giuseppe Schiavone. Arrestata con Giuseppina Vitale e Maria Giovanna Tito, è ritratta con loro in questa fotografia particolarmente curata con piante che decorano lo sfondo, le stesse che compaiono nella fotografia del giovane Michele Schirò della banda Caschetta di Melfi. Il generale Pallavicini mandò la fotografia delle "tre brigantesse" all'Emporio Pittoresco

 

 

 

 

 

Armate di tutto punto, sono presentate con un abbigliamento particolarmente curato, forse procurato apposta per lo scatto fotografico. L'intento era quello di rendere meno "violenta" la figura femminile rispetto a quella maschile. Cosa che accomuna molti altri ritratti di brigantesse, il più conosciuto dei quali è quello di Maria Lucia Di Nella, la compagna di Ninco Nanco.